Qualche tempo fa un mio amico molto intimo mi ha scritto una mail domandandomi il motivo per il quale avessi scelto di lasciare un lavoro sicuro in una ben nota compagnia petrolifera per imbarcarmi in un’avventura senza un progetto preciso, senza una meta e men che meno un’idea di ciò che avrei voluto fare.
Ad essere sincero la domanda mi ha inizialmente infastidito. Non sono portato a giustificare a nessuno le mie scelte, ho pensato.
In seguito, riflettendo più profondamente, ho concluso che quella mail fosse stato un invito a meditare sulla mia condizione attuale. Un invito a mettere per iscritto quei pensieri che hanno popolato la mia testa per lungo tempo e che mi hanno portato a scrivere queste righe affacciato davanti ad una finestra che dà sulla vallata adiacente alla città di Oaxaca, nel centro del Messico.
Credo di non poter individuare un istante preciso nel quale ho deciso che la vita dell’ingegnere che lavorava per un’azienda petrolifera non fosse il cammino che ero destinato a seguire.
Grazie a quel lavoro ho avuto la possibilità di vivere in luoghi nei quali molto probabilmente non avrei mai messo piede. Tre mesi trascorsi nella giungla del Congo francese o due anni vissuti nel deserto del Sahara sarebbero difficili da riassumere in poche parole.
Come complesso mi è spiegare ciò che ho appreso vivendo in megalopoli come Londra e Bangkok, passeggiando per le strade di Buenos Aires o per la favela di Rio de Janeiro piuttosto che per le strade di Sarajevo o di Berlino. O la gioia che ho provato immergendomi fino a quasi 40 metri nell’Oceano Indiano. Le sensazioni che ho provato mentre osservavo l’infinità della pianura del Serengeti cosparsa a perdita d’occhio da macchie nere : gnu in migrazione in cerca dell’acqua.
Quello che ho provato guardando gli occhi sorridenti e pieni di luce dei bambini che abitano a M’boku, un villaggio immerso nella foresta equatoriale del Congo francese è molto simile a ciò che ho pensato osservando la gente che vive sui binari morti adiacenti alle rotaie che portano da Bangkok verso il sud della Thailandia.
Ho visto tanta luce e tanta serenità nei loro sorrisi, nei loro gesti, nella loro spontaneità, nella loro semplicità.
Mentre negli occhi degli abitanti dei nostri stupendi paesi del primo mondo sviluppato, agiato, ricco, opulento, consumista, egoista ed ostentatore di agi e ricchezze, ho visto molto tristezza. Ho visto oscurità, buio pesto.
Vuoto. Un vuoto che ognuno di noi tenta di riempire comprandosi l’ultimo modello di smartphone piuttosto che le scarpe nuove. O l’auto nuova, o la barca. O la bottiglia di vino rosso da condividere con gli amici, in cui affogare la propria infelicità e dimenticarsi la propria situazione precaria di anima in cerca di sé stessa. Della propria missione.
A questo punto qualcuno potrebbe pensare che io osservi il mondo con un occhio molto triste ed eccessivamente critico. Può darsi.
Viaggiare è stato l’investimento migliore che potessi fare nella mia vita.
La vita in sé è uno splendido viaggio, un continuo percorso tortuoso attraverso migliaia di prove, migliaia di ostacoli posti lì di fronte a noi per farci apprendere qualcosa, per farci riflettere sul significato della vita stessa.
Nel mio infinito viaggiare, nel mio peregrinare incessante, nel mio porre un piede dietro l’altro su questo sentiero chiamato vita, un giorno di marzo dello scorso anno mi sono trovato di fronte ad un bivio.
Da una parte si diramava un percorso chiaro, molto ben definito, una vita incanalata sul binario di una carriera lavorativa nel settore petrolifero, destinata a dare un contributo distruttivo a questo fantastico Pianeta che mi ospita e che ho avuto la fortuna di visitare in lungo ed in largo. Un futuro fatto di perforazioni, di inquinamento sostenibile e di efficienza migliorabile.
Dall’altra parte ho visto un sentiero sconosciuto, buio, ignoto e perciò affascinante.
Seduto su una spiaggia di Koh Phangan, ammirando una stupenda alba, mi sono alzato in piedi e ho immerso un piede nell’acqua tiepida del mare thailandese. Un respiro profondo. I polmoni si sono riempiti di aria, di vita.
Con molte incertezze, con mille dubbi, con la paura per un futuro incerto, con una certa dose di incoscienza ma con la sensazione di seguire una spinta proveniente dal fondo del cuore, da un luogo recondito all’interno o forse al di là del mio corpo fisico, mi sono immerso in acqua.
Un tuffo nell’ignoto. Un tuffo verso la libertà.