Black Mamba

Congo. Foresta equatoriale africana. Dove il sole è sempre allo zenit.

Dove l’aria è ferma perché le forze di Coriolis lasciano che i nuvoloni grigi, carichi di pioggia, stanzino sopra la tua testa.

Lì, in quella foresta, vive il Black Mamba, anche soprannominato, affettuosamente, il serpente “dei 5 passi”.

Che non sono altro che il numero massimo di passi che ti restano dopo il suo letale morso.

KOBE

Kobe era affettuosamente soprannominato, dai suoi avversari, il black mamba.

Perché non lasciava loro la possibilità di fare più di 5 passi con il pallone in mano.

Li asfissiava con la sua difesa da campione. Li distruggeva con il suo sguardo glaciale. Li sfidava ad entrare nel suo territorio, la sua metà campo, per poi portarli a morire dopo soli 5 passi.

Kobe era questo.

Ma Kobe era molto di più. Un ragazzo sorridente, solare, puro.

Unico.

Come unici e rari sono coloro che possono permettersi di essere campioni con il sorriso sulle labbra.

Kobe era giovane.

Kobe aveva quattro figli e una di loro stava volando con lui ieri.

Volando alto, perché suo padre la portava a giocare in elicottero.

Se lo poteva permettere, il Mamba.

Era un figo.

Di quelli che: “ce ne sono pochi in giro come lui”, come diranno oggi al bar sport di qualche paesetto

Kobe era un amico.

Kobe non c’è più e io, questa notte, non ho dormito per il dolore.

Addio Black Mamba, in soli 41 anni hai fatto cose che alcuni non si sognerebbero di fare in 100 vite.

Grazie per essere stato un esempio di vita.

Con amore, tuo

Marzio

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