La ricerca della felicità

Dove dovrebbe iniziare la ricerca della felicità?

Dalla nascita?

Da un evento che ti cambia radicalmente la vita?

Dalla maturità reale e vera di una persona, ammesso che essa avvenga in tempi sufficientemente ristretti?

Quel giorno di gennaio avevo 32 anni ed un gran bel lavoro in una multinazionale tra le più grandi del mondo. Ma ero profondamente infelice. Così triste da non riuscire a guardarmi allo specchio la mattina prima di andare al lavoro senza farmi schifo. Ribrezzo. Odio misto al rancore per la mancanza di coraggio che mi impediva di andarmene da lì, nonostante il buonuscita e le finanze casalinghe a posto.

Odiavo ciò che facevo e come lo facevo. Odiavo il laisse faire e la tristezza con cui le persone con le quali lavoravo non riuscivano ad andare oltre al fatto che quello che stessimo compiendo non era solo dovere, ma un atto di distruzione nei confronti del pianeta Terra. Mentre la policy aziendale diceva “la ricerca di oggi formerà lo splendido futuro di un mondo migliore in cui robot e uomini saranno in equilibrio col pianeta”

Rileggevo spesso quelle righe perché, guardandomi attorno vedevo solo gente intenta a portarsi a casa lo stipendio e a fottersene del futuro migliore per i loro figli e nipoti. Che schifo mi facevano. Che schifo mi fanno ancora.

C’ho messo un anno e mezzo a convincere me e la mia famiglia che lasciare quel porto sicuro, quel lavoro da pensionato felice, sarebbe stata la più grande scommessa e la migliore scelta della mia vita.

Il più grande salto nel vuoto ma al contempo la migliore delle scelte, come vedrete seguendo la mia storia.

Mi presento, sono Raphael, ho 40 anni e credo di aver raggiunto un buon grado di felicità.

Ma vi voglio tediare ancora un pochino raccontandovi la mia storia per capire quanto ci ho messo ad essere felice.

Per coloro che credono che una persona è definibile da ciò che fa o dai titoli – nobiliari o cartacei – ecco la mia descrizione:

sono un ingegnere chimico di quasi 40 anni, ho lavorato in alcuni paesi del mondo per un’azienda petrolifera fino a circa 7 anni fa; nel frattempo mi ero preso pure la briga di studiare un Master in Business & Administration tra Londra e Bangkok, quando avevo 26 anni.

Ecco, questa è la descrizione che NON mi piace o che mi definisce solo a livello curricolare.

Quella che mi piace è questa.

Sono un camminante. Camminando un cammino di stelle. E le luci che incontro sono le anime che conosco sul mio cammino e che ammiro attraverso il percorso della mia via.

Camminando e danzando insieme a loro ho imparato i mille modi di vivere della gente e di ognuno di loro ho un ricordo indelebile che va al di là della percezione dei 5 sensi umani.

Cammino sul sentiero della vita. Ogni giorno mi avvicino sempre di più a chi sono, lasciandomi alle spalle quel “me” che qualcuno avrebbe voluto che fossi.

Chi è, o meglio, chi sono, quel o quei qualcuno? La società occidentale, il pensiero isterico collettivo, i genitori, le aspettative del mondo pazzoide in cui noi tutti viviamo.

Sono in cerca della connessione con la mia anima, con la Verità, con l’Amore, con Dio, con me stesso.

Ho girato per questo strano Pianeta in lungo e in largo, ho vissuto in posti che la maggior parte di voi considererebbe assurdi, ho lavorato (poco) e studiato (molto), ho parlato tanto ed ascoltato forse meno di quello che avrei dovuto, ho conosciuto un’infinità di gente.

Per poi capire che, chiunque guardassi negli occhi, chiunque conoscessi, era il giusto riflesso di chi ero in quell’istante della mia esistenza.

Un riflesso della mia anima, una creazione perfetta del film della mia vita.

Ho amato ogni fotogramma di quel film. Dal più amaro al più felice. Dal più vivido al più sbiadito.

Perchè, in fin dei conti, la vita è amara o dolce a seconda dello stato d’animo con cui la si guarda.

So poco della vita, quel poco che si sa a 40 anni, però quel poco che so ho voglia di condividerlo con chi avrà il desiderio di leggermi.

Ho un sacco di episodi divertenti da raccontare che voglio raccontare a chiunque abbia voglia di leggerli.

Non mi importa se sarete d’accordo o meno riguardo a quello che scrivo e alle conclusioni che ne trarrò. Non cerco conferme o smentite ai miei pensieri. Non voglio piacere in particolare a nessuno di coloro che mi leggeranno.

Voglio solo dire la mia, con riguardo e stima per l’opinione altrui.

PS: Ogni riferimento a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

Sull’amore, a trent’anni

Qualche giorno fa sono stato invitato ad un compleanno di una ragazza che ha compiuto 30 anni.

E’ sempre emozionante cambiare la prima cifra dell’età.

Ora che mi sto lentamente avvicinando ai 35 ho ripensato al luglio del 2009, quando lavoravo nel deserto e mi stavo avvicinando a questa soglia.

Ed ho ritrovato quello che avevo scritto

 

30

 

I miei primi trenta

Quando cambia la prima cifra dell’età, si ritiene che sia un momento particolare della propria vita.

Un momento per guardarsi indietro, ma anche per guardare in avanti.

Alla festa di compleanno in cui compivo dieci anni, mi ricordo che mia madre mi disse che avevo davanti a me il decennio più importante della mia vita, in cui avrei fatto molte scelte, avrei superato l’adolescenza, avrei scelto una direzione per la mia vita.

In parte aveva ragione.

Quando compii vent’anni ero nel pieno delle mie forze, della mia giovinezza, e sentivo di aver concluso un decennio molto importante e allo stesso momento divertente della mia esistenza. Forse non ero conscio di che decennio mi avrebbe atteso da lì a poco.

E di come sarebbe stato difficile trovare degli aggettivi adatti a descriverlo.

Non ho ancora trent’anni, ma ci sono quasi.

E credo di poter dire di aver vissuto molto intensamente gli ultimi dieci anni della mia vita.

Il 7 settembre del 1999 non avrei neanche lontanamente immaginato che mi sarei messo a scrivere queste righe seduto davanti ad una finestra che si affaccia sull’infinità del deserto del Sahara.

E ancor meno avrei pensato di poter raccontare e ricordare di aver vissuto a Trieste, a Udine, a Londra, a Bangkok, a Milano, a Piacenza, nella giungla del Congo e nel deserto della Tunisia.

Di saper parlare fluentemente l’inglese, di arrangiarmi con il francese, di voler imparare lo spagnolo e di aver perso l’accento gradese.

Non avrei mai detto che sarei diventato un instancabile giramondo, una sorta di vagabondo senza dimora, un irrequieto esploratore di nuove culture, in cerca della luce che risplende dietro gli occhi di chiunque abbia la fortuna di incontrare lungo il mio cammino.

Forse immaginavo che mi sarei posto molte domande sul significato della vita, per arrivare alla conclusione che è meglio non porsene troppe perchè è probabile che non ci abbia capito molto.

Non sapevo che avrei tentato di imparare ad amare con voglia sempre crescente.

Che avrei usato il verbo amare coscientemente ma anche a sproposito, che avrei gioito e sofferto, fatto gioire e fatto soffrire in nome dell’amore, fino a comprendere che bisogna imparare a non odiare sé stessi prima di potersi avvicinare al vero significato della parola amore.

In questi ultimi dieci anni ho conosciuto centinaia, fors’anche migliaia di persone con cui ho comunicato in parecchie lingue; anche i gesti sono una lingua.

Molte persone sono entrate nella mia vita per lasciarci un segno indelebile e per accompagnarmi nei momenti più belli e in quelli più brutti.

Alcune sono uscite di scena per sempre, facendomi soffrire, piangere e lasciandomi un vuoto che a volte è stato difficile da colmare.

Ci sono stati casi in cui ho imparato più da un incontro fortuito con qualcuno con cui ho parlato solo per pochi minuti che da persone che ho frequentato per lungo tempo.

Ad ogni modo, tutti coloro che sono apparsi nella mia vita, che hanno fatto parte di questo strano sogno così reale, mi hanno insegnato qualcosa su me stesso.

Mi hanno aiutato a diventare quello che sono ora.

A tutti questi angeli che hanno condiviso con me questi miei primi trent’anni, vorrei dire grazie.

Grazie per aver fatto parte della mia esistenza.

Grazie per avermi insegnato molte cose, tra cui avermi aiutato a comprendere, in parte, il significato della vita.

Spero proprio di poter continuare ad essere accompagnato sulla mia strada da questi angeli e di aver la fortuna di incontrarne altri che mi permettano di poter imparare, per tutto il resto del tempo che mi resta da vivere in questo strano sogno che è la vita, come si fa ad amare.

Ho sentito…

sentire

…le grida di gioia dei bambini congolesi quando mi avvicinavo a loro con un pacco di caramelle

…il barrire di un elefante africano che pascola libero in una riserva vicino a Lake Manyara, in Tanzania

…il silenzio surreale di un vortice argenteo di tonni che mi avvolge durante un’immersione alle isole Similan

…il lamento e la richiesta di aiuto di una donna thailandese, lebbrosa, seduta su un sudicio marciapiede di Bangkok

…la musica che fa ballare decine di donne in topless aggrappate ai pali di un bancone di un peep show a Pattaya

… lo sbiascichìo degli ubriachi avventori di un topless bar

…il sibilo del vento che spettina con vigore la cima del monte Bianco

…il placido rumore della fiacca risacca della laguna di Grado

…il suono dei clacson e il rumore metallico di marmitte arrugginite delle macchine accodate ad un semaforo di un incrocio di Tunisi

…il sibilo inesorabile, costante del vento di sabbia nel deserto del Sahara che fa da sottofondo a lunghe giornate di lavoro

…l’incessante rombo della fiaccola che brucia il gas in eccesso di innumerevoli pozzi di petrolio

…la vibrazione del terreno prodotta dalle migliaia di zampe degli gnu in migrazione per cercare acqua e nuovi pascoli attraverso l”immensa piana del Serengeti

…il queeeeeek della svirgolata delle ruote di un aereo mentre si appoggia su una pista di un qualunque aeroporto in un qualunque Paese del mondo

…l’ultimo rantolo disperato dell’auto gialla di un tassista di Tunisi

… il picchietto della macchine da cucire, la musica incessante, le voci stridule delle venditrici ambulanti, le urla dei bambini, la marmitta di un tuk-tuk scarburato, lo scampanellìo di una bicicletta a Jatuchak market, a Bangkok

… lo scalpitare caotico ma inesorabile delle persone e il loro vociare indistinguibile che si mescola con un’annuncio pubblicitario, nei tunnel della metropolitana di Londra

… lo strombazzare incessante di un fiume colorato di motorini ed auto che inondano le vie di Hanoi

… il fruscio del vento, che spettina i capelli di una delle centinaia di persone che all’alba di un giorno lavorativo qualunque si dirigono verso gli uffici della City di Londra

… le risa nevrotiche ed esagerate delle stesse persone che dalle 6 di sera si ubriacano nei pub

… il frantumarsi al suolo dei boccali di birra che scivolano da mani troppo intossicate, troppo stanche

… il silenzio ovattato che rende udibile la nebbia fitta

… l’inesorabile rumore metallico della macchinetta del caffè che sforna incessantemente prodotti stimolanti per gente senza stimoli

… il silenzio profondo rotto solo da alcuni rumori distanti, in una notte africana

… il grugnito di un bufalo che mangia l’erba di fronte alla finestra della camera di un albergo alle pendici del cratere del Ngoro ngoro

…il ticchettio inesorabile dell’orologio che marca il cartellino dei dipendenti

…il fracasso delle campane che richiamano i pochi fedeli alla Messa della mattina, a Monfalcone

…lo schioccare delle labbra della donna che amo, quando mi bacia sul petto

…il suo respiro affannoso mentre facciamo all’amore

…il frastuono assordante della macchina che pulisce le strade sotto casa tua, il sabato mattina…

…il battito ipnotizzante della cassa al Ministry of Sound di Londra

…il fruscio delle ali di un pellicano che passa a pochi metri della mia testa

…il silenzio regale dei movimenti dello squalo balena, ad Holbox

…lo stridere dei freni di un treno che si ferma per far passare una mandria di pecore, da qualche parte tra Sfax e Tunisi

…quell’attimo di silenzio surreale quando speri che la persona che hai investito in auto sia ancora viva

…il clang sordo della porta di una cella di una galera a Playa del Carmen

…il suono greve del didgeridoo e la melodia magica dell’hang mentre medito sotto una luna resa rossa dall’eclissi

…la voce di una donna coperta dalla musica assordante

…l’ipnotizzante risacca delle onde del mar del Caribe osservando Marte

…tante parole dette a caso

…emozioni intense trasmesse con la voce rotta dal pianto

…il rombo costante, inesorabile, maestoso delle cascate di Iguazù

…il pianto di un bambino che chiede attenzione

…il latrato di un cane che difende il suo territorio

…il rumore della vita

Ho visto …

 

vista

…gli occhi pieni di luce dei bambini congolesi quando mi avvicinavo a loro con un pacco di caramelle

…il bianco opaco dell’avorio della zanna di un elefante africano che pascola libero in una riserva vicino a Lake Manyara, in Tanzania

…un vortice argenteo di tonni che mi avvolge durante un’immersione alle isole Similan

…lo sguardo rassegnato di una donna thailandese, lebbrosa, seduta su un sudicio marciapiede di Bangkok

…decine di donne in topless aggrappate ai pali di un bancone di un peep show a Pattaya

… le facce ubriache degli avventori stranieri che, nello stesso locale, usano il danaro per comprare birra e compagnia

…il monte Bianco spettinato dal vento

…il rosso fuoco di un tramonto nella laguna di Grado

…il rosa, il rosso mattone, il giallo ocra, il blu opale, il verde smeraldo delle facciate delle case di una via qualunque a San Cristobal de las Casas

…il vento di sabbia del deserto del Sahara che assomiglia molto alla fitta nebbia della Pianura Padana

…il fumo nero e denso, sprigionato da una fiaccola che brucia il gas in eccesso di vari pozzi di petrolio, illuminare con una luce surreale una notte estiva nella foresta equatoriale

…le macchie nere, branchi di gnu al pascolo, disperse a perdita d’occhio come macchie d’olio sul verde dell’immensa piana del Serengeti

…la curvatura della Terra sempre lì, in Africa e dalla finestra della mia camera da letto mentre salutavo il Golfo di Trieste in una mattina invernale, prima di andare a scuola

…il lento ed inesorabile movimento di una duna di sabbia nella cornice di un tramonto rosato nel cielo riempito di piccole nubi a pecorelle

…le rughe sul viso di un pastore tunisino, circondato dalle pecore, da un magro cane e da centinaia di mosche che gli si attaccano al volto, mentre gli passo una bottiglia d’acqua

…il guardiano di un pozzo petrolifero che, uscendo da una tenda verde militare, mi offre del pane cucinato nella sabbia mentre sorseggiamo un tè osservando il silenzio delle rocce e della sabbia che si perdono a vista d’occhio

…la luna sorgere di fronte a me, gigantesca, mentre corro sulla pista di atterraggio di un fatiscente aeroporto

…il fumo bianco che sprigionano le ruote di un aereo mentre si appoggia su una pista di un qualunque aeroporto in un qualunque paese

…la rassegnazione di un tassista di Tunisi a cui gli si è appena bruciato il motore dell’auto

… i bernoccoli viola sulla fronte di un buon mussulmano, che sbatte violentemente la testa sul pavimento mentre prega rivolto verso la Mecca

… il sorriso pacifico sul volto sereno di un calvo monaco buddhista

…la sua tunica arancione e i suoi piedi scalzi

…un ladyboy che gli cede il posto a sedere sul barcone che avanza lentamente sull’acqua marroncina del Chao Phraya, a Bangkok

…l’azzurro cristallino che si sposa perfettamente col bianco corallino della sabbia della spiaggia di Xcacel, in Messico

… i pellicani volare in formazione mentre un paguro si inabissa lentamente nell’acqua

… le impronte delle piccole tartarughe che nella notte sono uscite dal loro guscio per immergersi nel mare

… la luce emanata da una lampada a led in mano ad un nigeriano che esce dalla selva

… le blatte che camminano indisturbate tra i sacchi dei rifiuti raccolti a mano da operai asiatici

… i negozi di Chinatown dove lavorano, mangiano, dormono, insomma vivono o meglio sopravvivono intere famiglie di cinesi

… il sorriso sdentato di una signora anziana, che potrebbe avere sessanta o cento anni, che mi chiede una moneta

… persone che come formiche si muovono rapidamente nei tunnel della metropolitana

… un fiume colorato di motorini strombazzanti per le vie di Hanoi

… lo sguardo vuoto di migliaia di persone che all’alba di un giorno lavorativo qualunque si dirigono verso gli uffici della City di Londra

… i sorrisi nevrotici delle stesse persone che alle 6 di sera si ubriacano nei pub

… la nebbia fitta, che come in un apocalittico film di Ridley Scott, avvolge ed inghiotte il quinto palazzo a San Donato Milanese

… la macchinetta del caffè attorno alla quale si parla di qualunque cosa per riempire il vuoto di una giornata spesa al lavoro

… il muso aggressivo di una murena che mi squadra impaurita, come se fossi un alieno mentre mille bollicine d’aria circondano il mio viso nascosto dietro una maschera di vetro temperato

… il nero più profondo di una notte africana

… la via lattea che sembra dipinta dal più grande artista nel cielo sopra Cabo Polonio

… le stelle che mi fanno da tetto mentre mi addormento avvolto nello spinnaker di una barca a vela ormeggiata da qualche parte vicino alla barriera corallina australiana

… tutto e niente.

 

O forse l’ho solo immaginato.

 

I sensi della vita

A lungo ho desiderato trasmettere a parole le sensazioni che ho provato durante il mio infinito viaggiare.

Questo spazio virtuale mi affascina proprio per il suo carattere aleatorio.

Non è carta quella su cui imprimo i miei pensieri.

Nel suo profondo, la sua essenza si riduce ad una infinita sequenza di 1 e 0, di aperto-chiuso, trasmessa a velocità che stento ad immaginare attraverso circuiti di dimensioni nanometriche chiusi all’interno della cassa di plastica di un oggetto ormai così comune come un computer.

 

Questo spazio aleatorio, questa finestra che il mio essere apre saltuariamente verso il mondo esterno, è un esperimento che mi affascina.

Una sfida con me stesso nata nel segno della condivisione.

La mia passione per la scrittura è palese.

La mia voglia di tradurre in parole ciò che ho sentito nel corso della mia alquanto originale vita, è indiscussa.

Finora mi mancava il modo di trasmetterla.

Vista la mia insopportabile voglia di trovare un modo originale per farlo, ho speso parecchio tempo a pensare alla maniera più consona affinchè quello che scrivo non fosse ricordato come l’ennesimo resoconto di un viaggiatore qualunque che ha attraversato il mondo in lungo ed in largo.

 

Dato che le idee vengono sempre nei momenti più inaspettati, non mi sorprende che l’illuminazione mi sia giunta un attimo prima di addormentarmi. In quel momento in cui la mente si fa silenziosa, in cui il rumore del pensiero lascia spazio all’ispirazione, permettendole di essere assorbita ad un livello cosciente.

 

Quale maniera migliore di trasmettere ciò che il viaggiare mi ha fatto sentire se non descrivendolo attraverso i cinque sensi?

5 sensi

 

Qui inizia la mia personale, a volte scanzonata, spesso fastidiosa ed arrogante, alquanto estrema e del tutto personale dissertazione sui sensi della mia vita.

 

Sperando che questi racconti possano accendere una piccola scintilla in coloro con i quali li condivido.

 

Da dove iniziare se non dal senso più utilizzato e che fa lavorare gran parte dei neuroni di quel misterioso organo che fin troppo orgogliosamente e spesso alquanto inutilmente, portiamo a spasso chiuso all’interno della nostra scatola cranica?

 

 

Ci vediamo presto