Ho sentito…

sentire

…le grida di gioia dei bambini congolesi quando mi avvicinavo a loro con un pacco di caramelle

…il barrire di un elefante africano che pascola libero in una riserva vicino a Lake Manyara, in Tanzania

…il silenzio surreale di un vortice argenteo di tonni che mi avvolge durante un’immersione alle isole Similan

…il lamento e la richiesta di aiuto di una donna thailandese, lebbrosa, seduta su un sudicio marciapiede di Bangkok

…la musica che fa ballare decine di donne in topless aggrappate ai pali di un bancone di un peep show a Pattaya

… lo sbiascichìo degli ubriachi avventori di un topless bar

…il sibilo del vento che spettina con vigore la cima del monte Bianco

…il placido rumore della fiacca risacca della laguna di Grado

…il suono dei clacson e il rumore metallico di marmitte arrugginite delle macchine accodate ad un semaforo di un incrocio di Tunisi

…il sibilo inesorabile, costante del vento di sabbia nel deserto del Sahara che fa da sottofondo a lunghe giornate di lavoro

…l’incessante rombo della fiaccola che brucia il gas in eccesso di innumerevoli pozzi di petrolio

…la vibrazione del terreno prodotta dalle migliaia di zampe degli gnu in migrazione per cercare acqua e nuovi pascoli attraverso l”immensa piana del Serengeti

…il queeeeeek della svirgolata delle ruote di un aereo mentre si appoggia su una pista di un qualunque aeroporto in un qualunque Paese del mondo

…l’ultimo rantolo disperato dell’auto gialla di un tassista di Tunisi

… il picchietto della macchine da cucire, la musica incessante, le voci stridule delle venditrici ambulanti, le urla dei bambini, la marmitta di un tuk-tuk scarburato, lo scampanellìo di una bicicletta a Jatuchak market, a Bangkok

… lo scalpitare caotico ma inesorabile delle persone e il loro vociare indistinguibile che si mescola con un’annuncio pubblicitario, nei tunnel della metropolitana di Londra

… lo strombazzare incessante di un fiume colorato di motorini ed auto che inondano le vie di Hanoi

… il fruscio del vento, che spettina i capelli di una delle centinaia di persone che all’alba di un giorno lavorativo qualunque si dirigono verso gli uffici della City di Londra

… le risa nevrotiche ed esagerate delle stesse persone che dalle 6 di sera si ubriacano nei pub

… il frantumarsi al suolo dei boccali di birra che scivolano da mani troppo intossicate, troppo stanche

… il silenzio ovattato che rende udibile la nebbia fitta

… l’inesorabile rumore metallico della macchinetta del caffè che sforna incessantemente prodotti stimolanti per gente senza stimoli

… il silenzio profondo rotto solo da alcuni rumori distanti, in una notte africana

… il grugnito di un bufalo che mangia l’erba di fronte alla finestra della camera di un albergo alle pendici del cratere del Ngoro ngoro

…il ticchettio inesorabile dell’orologio che marca il cartellino dei dipendenti

…il fracasso delle campane che richiamano i pochi fedeli alla Messa della mattina, a Monfalcone

…lo schioccare delle labbra della donna che amo, quando mi bacia sul petto

…il suo respiro affannoso mentre facciamo all’amore

…il frastuono assordante della macchina che pulisce le strade sotto casa tua, il sabato mattina…

…il battito ipnotizzante della cassa al Ministry of Sound di Londra

…il fruscio delle ali di un pellicano che passa a pochi metri della mia testa

…il silenzio regale dei movimenti dello squalo balena, ad Holbox

…lo stridere dei freni di un treno che si ferma per far passare una mandria di pecore, da qualche parte tra Sfax e Tunisi

…quell’attimo di silenzio surreale quando speri che la persona che hai investito in auto sia ancora viva

…il clang sordo della porta di una cella di una galera a Playa del Carmen

…il suono greve del didgeridoo e la melodia magica dell’hang mentre medito sotto una luna resa rossa dall’eclissi

…la voce di una donna coperta dalla musica assordante

…l’ipnotizzante risacca delle onde del mar del Caribe osservando Marte

…tante parole dette a caso

…emozioni intense trasmesse con la voce rotta dal pianto

…il rombo costante, inesorabile, maestoso delle cascate di Iguazù

…il pianto di un bambino che chiede attenzione

…il latrato di un cane che difende il suo territorio

…il rumore della vita

Il significato del viaggio

Zaino in spalla.

Dieci chili o poco più.

Ai piedi scarpe da ginnastica consunte.

Un biglietto aereo di sola andata.

Un itinerario definito a grandi linee.

Hotel prenotato solo per la prima notte.

Un buon libro a farmi compagnia durante i trasferimenti o le attese.

Una macchina fotografica.

 

backpacker

 

La voglia di esplorare.

Il desiderio di scoprire.

La curiosità infantile.

Lo stupore della prima volta.

La consapevolezza che la realtà è parte di un grande sogno.

 

Svegliarsi all’alba e passeggiare per le strade deserte di una città sconosciuta.

Andare a dormire ammirando la luna piena che si staglia su un cielo limpido.

Sporcarsi tutti i vestiti e non avere più nulla da indossare.

Offrire un caffè ad una persona incontrata qualche minuto prima.

Ricevere un sorriso da uno sconosciuto.

Parlare di politica mangiando un tacos unto di grasso.

Disquisire sull’essenza effimera della vita con una donna madrilena, ex guardiana di un faro sulle coste marocchine.

Non pensare a nulla, seduto su un’amaca, intento ad ammirare un prato pieno di lucciole.

Guardarsi allo specchio negli occhi di uno sconosciuto.

Meditare, immerso in un ruscello nella selva.

Chiedersi: “Chi sono?” in cima ad un monte, con il viso sferzato dal vento.

Capire che bisogna darsi tempo per ricevere la risposta.

Essere consci che quella è l’unica vera domanda che ognuno di noi dovrebbe farsi.

Ricevere la risposta leggendo una frase di un libro preso casualmente in mano in una libreria.

Meditare sulla risposta ricevuta, guardando da un finestrino di un autobus un panorama in continuo movimento.

Essere conscio del divenire.

Sentirsi amato da chi ho conosciuto da pochi giorni.

Amare chiunque incontri.

Essere parte di tutto.

 

Il viaggio in solitaria può essere noioso.

Può essere ricco di stimoli.

Può lasciare l’amaro in bocca.

Può farti sorridere nei momenti più inaspettati.

O piangere improvvisamente.

Ha molti bivi.

Pretende che tu scelga.

Che tu sia sveglio.

Che tu sia attivo.

Che tu sia vivo.

 

Viaggio da solo.

E amo farlo.

Ho visto …

 

vista

…gli occhi pieni di luce dei bambini congolesi quando mi avvicinavo a loro con un pacco di caramelle

…il bianco opaco dell’avorio della zanna di un elefante africano che pascola libero in una riserva vicino a Lake Manyara, in Tanzania

…un vortice argenteo di tonni che mi avvolge durante un’immersione alle isole Similan

…lo sguardo rassegnato di una donna thailandese, lebbrosa, seduta su un sudicio marciapiede di Bangkok

…decine di donne in topless aggrappate ai pali di un bancone di un peep show a Pattaya

… le facce ubriache degli avventori stranieri che, nello stesso locale, usano il danaro per comprare birra e compagnia

…il monte Bianco spettinato dal vento

…il rosso fuoco di un tramonto nella laguna di Grado

…il rosa, il rosso mattone, il giallo ocra, il blu opale, il verde smeraldo delle facciate delle case di una via qualunque a San Cristobal de las Casas

…il vento di sabbia del deserto del Sahara che assomiglia molto alla fitta nebbia della Pianura Padana

…il fumo nero e denso, sprigionato da una fiaccola che brucia il gas in eccesso di vari pozzi di petrolio, illuminare con una luce surreale una notte estiva nella foresta equatoriale

…le macchie nere, branchi di gnu al pascolo, disperse a perdita d’occhio come macchie d’olio sul verde dell’immensa piana del Serengeti

…la curvatura della Terra sempre lì, in Africa e dalla finestra della mia camera da letto mentre salutavo il Golfo di Trieste in una mattina invernale, prima di andare a scuola

…il lento ed inesorabile movimento di una duna di sabbia nella cornice di un tramonto rosato nel cielo riempito di piccole nubi a pecorelle

…le rughe sul viso di un pastore tunisino, circondato dalle pecore, da un magro cane e da centinaia di mosche che gli si attaccano al volto, mentre gli passo una bottiglia d’acqua

…il guardiano di un pozzo petrolifero che, uscendo da una tenda verde militare, mi offre del pane cucinato nella sabbia mentre sorseggiamo un tè osservando il silenzio delle rocce e della sabbia che si perdono a vista d’occhio

…la luna sorgere di fronte a me, gigantesca, mentre corro sulla pista di atterraggio di un fatiscente aeroporto

…il fumo bianco che sprigionano le ruote di un aereo mentre si appoggia su una pista di un qualunque aeroporto in un qualunque paese

…la rassegnazione di un tassista di Tunisi a cui gli si è appena bruciato il motore dell’auto

… i bernoccoli viola sulla fronte di un buon mussulmano, che sbatte violentemente la testa sul pavimento mentre prega rivolto verso la Mecca

… il sorriso pacifico sul volto sereno di un calvo monaco buddhista

…la sua tunica arancione e i suoi piedi scalzi

…un ladyboy che gli cede il posto a sedere sul barcone che avanza lentamente sull’acqua marroncina del Chao Phraya, a Bangkok

…l’azzurro cristallino che si sposa perfettamente col bianco corallino della sabbia della spiaggia di Xcacel, in Messico

… i pellicani volare in formazione mentre un paguro si inabissa lentamente nell’acqua

… le impronte delle piccole tartarughe che nella notte sono uscite dal loro guscio per immergersi nel mare

… la luce emanata da una lampada a led in mano ad un nigeriano che esce dalla selva

… le blatte che camminano indisturbate tra i sacchi dei rifiuti raccolti a mano da operai asiatici

… i negozi di Chinatown dove lavorano, mangiano, dormono, insomma vivono o meglio sopravvivono intere famiglie di cinesi

… il sorriso sdentato di una signora anziana, che potrebbe avere sessanta o cento anni, che mi chiede una moneta

… persone che come formiche si muovono rapidamente nei tunnel della metropolitana

… un fiume colorato di motorini strombazzanti per le vie di Hanoi

… lo sguardo vuoto di migliaia di persone che all’alba di un giorno lavorativo qualunque si dirigono verso gli uffici della City di Londra

… i sorrisi nevrotici delle stesse persone che alle 6 di sera si ubriacano nei pub

… la nebbia fitta, che come in un apocalittico film di Ridley Scott, avvolge ed inghiotte il quinto palazzo a San Donato Milanese

… la macchinetta del caffè attorno alla quale si parla di qualunque cosa per riempire il vuoto di una giornata spesa al lavoro

… il muso aggressivo di una murena che mi squadra impaurita, come se fossi un alieno mentre mille bollicine d’aria circondano il mio viso nascosto dietro una maschera di vetro temperato

… il nero più profondo di una notte africana

… la via lattea che sembra dipinta dal più grande artista nel cielo sopra Cabo Polonio

… le stelle che mi fanno da tetto mentre mi addormento avvolto nello spinnaker di una barca a vela ormeggiata da qualche parte vicino alla barriera corallina australiana

… tutto e niente.

 

O forse l’ho solo immaginato.

 

Cambiamento condiviso

Change

Il cambiamento. Questo sconosciuto. O meglio rimandato, richiuso nel cassetto dei sogni da realizzare ma che mai si realizzeranno.

Il cambiamento usato come slogan. Campagne elettorali inneggianti a cambiamenti.

Obama, Renzi e numerosi altri politici che sbandierano il cambiamento come qualcosa di raggiungibile. Ma che in realtà si allontanano da esso, venendo risucchiati all’interno del tremendo vortice che il ben oliato sistema capitalista neo-liberista ha costruito nel corso delle ultime decadi. A partire dalla rivoluzione industriale.

Questo articolo non riguarda il cambiamento globale, benchè possiate credere che sia così . Sarebbe ipocrita ed altamente ambizioso da parte mia disquisire in un unico post di un argomento tanto interessante quanto vasto e di difficile comprensione per la maggioranza delle persone.

Il cambiamento a cui mi riferisco è molto più particolare e riguarda questo blog.

Ho un progetto a cui sto lavorando.

Avrete notato una grande differenza nel layout, aprendo questo post. Per ora vi invito ad iscrivervi alla mailing list, inserendo il vostro indirizzo email nella casella a lato in modo tale da poter ricevere una notifica via email nel momento in cui scriverò qualcosa.

Presto questo spazio autogestito si amplierà.

Con nuove pagine che troverete in alto, al di sotto della fotografia principale .

Si arricchirà con nuovi argomenti.

Diventerà un luogo di discussione, in cui spero vogliate inserire commenti od opinioni sulle tematiche trattate.

Vi prego di diffondere l’indirizzo del sito ai vostri amici.

 

Il mio desiderio è quello di creare un luogo virtuale di condivisione del pensiero che ho sviluppato negli anni camminando in questa vita meravigliosa.

Pensiero e filosofia di vita di cui mai mi permetterei di chiamarmi creatore ma soltanto scopritore.

O meglio riscopritore.

Vi aspetto a braccia virtualmente aperte per condividere.

8 luglio

Un compleanno estivo.

Un compleanno condiviso tra papà e mamma.

Quasi conteso.

E’ come se si rubassero la scena uno con l’altro.

Bruno arriva sempre prima di Giulia.

E’ un anno più vecchio, perciò le date ritenute importanti, come il 40esimo o il 50esimo compleanno, lo vedono sempre un anno in vantaggio.

Vantaggio effimero.

Ricordo grandi feste. Carabinieri chiamati dai turisti desiderosi di riposare indisturbati mentre le melodie che uscivano dalle chitarre di Francesco e Franco e la voce poderosa di Carmelo spaccavano in due il silenzio quasi surreale delle notti estive gradesi.

Mi piace pensare all’8 luglio come ad un gran bel giorno di festa.

 

Family

 

Un giorno per fermarsi a ricordare un po’ nostalgicamente, sicuramente con grande affetto e con estrema gioia, un passato indelebilmente scolpito nell’anima di coloro che hanno avuto la fortuna di parteciparvi.

Ora che la chitarra è riposta all’interno della sua custodia e che i turisti riposano tranquilli, lo spazio silenzioso ed indescrivibile che separa una nota dall’altra è riempito dal sorriso che si stampa sul mio viso sentendoti sempre accanto a me.

In quel silenzio posso ascoltare tutto il suono della tua presenza.

Tanti auguri papà

I sensi della vita

A lungo ho desiderato trasmettere a parole le sensazioni che ho provato durante il mio infinito viaggiare.

Questo spazio virtuale mi affascina proprio per il suo carattere aleatorio.

Non è carta quella su cui imprimo i miei pensieri.

Nel suo profondo, la sua essenza si riduce ad una infinita sequenza di 1 e 0, di aperto-chiuso, trasmessa a velocità che stento ad immaginare attraverso circuiti di dimensioni nanometriche chiusi all’interno della cassa di plastica di un oggetto ormai così comune come un computer.

 

Questo spazio aleatorio, questa finestra che il mio essere apre saltuariamente verso il mondo esterno, è un esperimento che mi affascina.

Una sfida con me stesso nata nel segno della condivisione.

La mia passione per la scrittura è palese.

La mia voglia di tradurre in parole ciò che ho sentito nel corso della mia alquanto originale vita, è indiscussa.

Finora mi mancava il modo di trasmetterla.

Vista la mia insopportabile voglia di trovare un modo originale per farlo, ho speso parecchio tempo a pensare alla maniera più consona affinchè quello che scrivo non fosse ricordato come l’ennesimo resoconto di un viaggiatore qualunque che ha attraversato il mondo in lungo ed in largo.

 

Dato che le idee vengono sempre nei momenti più inaspettati, non mi sorprende che l’illuminazione mi sia giunta un attimo prima di addormentarmi. In quel momento in cui la mente si fa silenziosa, in cui il rumore del pensiero lascia spazio all’ispirazione, permettendole di essere assorbita ad un livello cosciente.

 

Quale maniera migliore di trasmettere ciò che il viaggiare mi ha fatto sentire se non descrivendolo attraverso i cinque sensi?

5 sensi

 

Qui inizia la mia personale, a volte scanzonata, spesso fastidiosa ed arrogante, alquanto estrema e del tutto personale dissertazione sui sensi della mia vita.

 

Sperando che questi racconti possano accendere una piccola scintilla in coloro con i quali li condivido.

 

Da dove iniziare se non dal senso più utilizzato e che fa lavorare gran parte dei neuroni di quel misterioso organo che fin troppo orgogliosamente e spesso alquanto inutilmente, portiamo a spasso chiuso all’interno della nostra scatola cranica?

 

 

Ci vediamo presto

El Pardon

Un post dedicato solo a chi è gradese. Perchè solo chi è gradese può capire.

 

Cari Mamuli,

son a città del Messico.

Geri sera una amica che me sta ospitando m’ha domandao de mostrai el posto ndola vivo, ndola son cressuo.

Gera circa mezzanotte, le sette de voltri; è scuminsiao a dili che incuo a Gravo, xe el Giorno, quel co la G maiuscola. Quel giorno che solo un de Gravo pol capì fin in fondo, quel giorno in cui tu capissi che tu fa parte de un posto magico e che no tu gambiaravi le tove radici per ninte al mondo.

Me son immaginao la clappa che stave aspettando el peschereccio co la solita spesa, magari za co una birretta in man a le sette de mattina, dopo ve fatto un degheio per dutta la notte de sabo grando.

Barbana

Como capita a cu che se ne va all’estero, me xe salia un poca de nostalgia. Quela nostalgia che te vien fora ogni tanto, forte, pesante.

Me son buttao sul letto e me son immaginao de esse là co voltri. Perchè, in fin dei conti, no conta la distanza fisica.

Il mio cuor, la mia anima, le xe sempre là. In quella palù magica, in quei tramonti che se veghe solo sulla diga, in quell’odor de salsedine che te ricorda casa, in quella Madoninna pusagia sora de una bricola verso la quale cantemo, con dutto el fiao che vemo, le nostre canzuni.

 

Grassie per ve condiviso con me un oltro fantastico Pardon.

 

A presto mamuli, me manchè

Il tuffo

Qualche tempo fa un mio amico molto intimo mi ha scritto una mail domandandomi il motivo per il quale avessi scelto di lasciare un lavoro sicuro in una ben nota compagnia petrolifera per imbarcarmi in un’avventura senza un progetto preciso, senza una meta e men che meno un’idea di ciò che avrei voluto fare.

Ad essere sincero la domanda mi ha inizialmente infastidito. Non sono portato a giustificare a nessuno le mie scelte, ho pensato.

In seguito, riflettendo più profondamente, ho concluso che quella mail fosse stato un invito a meditare sulla mia condizione attuale. Un invito a mettere per iscritto quei pensieri che hanno popolato la mia testa per lungo tempo e che mi hanno portato a scrivere queste righe affacciato davanti ad una finestra che dà sulla vallata adiacente alla città di Oaxaca, nel centro del Messico.

Credo di non poter individuare un istante preciso nel quale ho deciso che la vita dell’ingegnere che lavorava per un’azienda petrolifera non fosse il cammino che ero destinato a seguire.

Grazie a quel lavoro ho avuto la possibilità di vivere in luoghi nei quali molto probabilmente non avrei mai messo piede. Tre mesi trascorsi nella giungla del Congo francese o due anni vissuti nel deserto del Sahara sarebbero difficili da riassumere in poche parole.

Come complesso mi è spiegare ciò che ho appreso vivendo in megalopoli come Londra e Bangkok, passeggiando per le strade di Buenos Aires o per la favela di Rio de Janeiro piuttosto che per le strade di Sarajevo o di Berlino. O la gioia che ho provato immergendomi fino a quasi 40 metri nell’Oceano Indiano. Le sensazioni che ho provato mentre osservavo l’infinità della pianura del Serengeti cosparsa a perdita d’occhio da macchie nere : gnu in migrazione in cerca dell’acqua.

Quello che ho provato guardando gli occhi sorridenti e pieni di luce dei bambini che abitano a M’boku, un villaggio immerso nella foresta equatoriale del Congo francese è molto simile a ciò che ho pensato osservando la gente che vive sui binari morti adiacenti alle rotaie che portano da Bangkok verso il sud della Thailandia.

Ho visto tanta luce e tanta serenità nei loro sorrisi, nei loro gesti, nella loro spontaneità, nella loro semplicità.

Mentre negli occhi degli abitanti dei nostri stupendi paesi del primo mondo sviluppato, agiato, ricco, opulento, consumista, egoista ed ostentatore di agi e ricchezze, ho visto molto tristezza. Ho visto oscurità, buio pesto.

Vuoto. Un vuoto che ognuno di noi tenta di riempire comprandosi l’ultimo modello di smartphone piuttosto che le scarpe nuove. O l’auto nuova, o la barca. O la bottiglia di vino rosso da condividere con gli amici, in cui affogare la propria infelicità e dimenticarsi la propria situazione precaria di anima in cerca di sé stessa. Della propria missione.

tuffo

A questo punto qualcuno potrebbe pensare che io osservi il mondo con un occhio molto triste ed eccessivamente critico. Può darsi.

Viaggiare è stato l’investimento migliore che potessi fare nella mia vita.

La vita in sé è uno splendido viaggio, un continuo percorso tortuoso attraverso migliaia di prove, migliaia di ostacoli posti lì di fronte a noi per farci apprendere qualcosa, per farci riflettere sul significato della vita stessa.

Nel mio infinito viaggiare, nel mio peregrinare incessante, nel mio porre un piede dietro l’altro su questo sentiero chiamato vita, un giorno di marzo dello scorso anno mi sono trovato di fronte ad un bivio.

Da una parte si diramava un percorso chiaro, molto ben definito, una vita incanalata sul binario di una carriera lavorativa nel settore petrolifero, destinata a dare un contributo distruttivo a questo fantastico Pianeta che mi ospita e che ho avuto la fortuna di visitare in lungo ed in largo. Un futuro fatto di perforazioni, di inquinamento sostenibile e di efficienza migliorabile.

Dall’altra parte ho visto un sentiero sconosciuto, buio, ignoto e perciò affascinante.

Seduto su una spiaggia di Koh Phangan, ammirando una stupenda alba, mi sono alzato in piedi e ho immerso un piede nell’acqua tiepida del mare thailandese. Un respiro profondo. I polmoni si sono riempiti di aria, di vita.

Con molte incertezze, con mille dubbi, con la paura per un futuro incerto, con una certa dose di incoscienza ma con la sensazione di seguire una spinta proveniente dal fondo del cuore, da un luogo recondito all’interno o forse al di là del mio corpo fisico, mi sono immerso in acqua.

Un tuffo nell’ignoto. Un tuffo verso la libertà.

La Natura di Palenque

E’ l’imbrunire. Passeggio nella selva. Il rumore del ruscello che scorre da qualche parte, nascosto nella boscaglia, fa da sottofondo al frinire dei grilli. Ogni tanto un urlo di una scimmia o il verso di qualche uccello si intonano perfettamente alla vibrazione che si percepisce. Un assolo naturale, sincronizzato con il battito del cuore di Gaia. Attorno a questo intricato groviglio di piante tra le quali il mio pensiero vaga libero da ogni costrizione, circa 1500 anni fa,  una delle più grandi civiltà della storia era al suo culmine. La celeberrima civiltà maya. Con i suoi reggenti nominati non per discendenza ma perchè nati in un solstizio oppure in un equinozio. Oppure,meglio ancora, nato nel giorno dell’equinozio di primavera e storpio, come capito’ a K’inich Janaab’ Pakal, meglio conosciuto come Pakal il grande. Avere una gamba più corta dell’altra, come nel suo caso, era considerato un segno divino di buon auspicio. Pakal visse quasi ottant’anni, un’età considerevole per l’epoca, facendo costruire uno dei più grandi monumenti della città di Palenque per adibirlo a sua tomba. Allineò l’edificio in maniera tale che i corridoi interni che connettono il suo sacrario con quello della regina Roja con cui si sposo’ si orientassero perfettamente in direzione est ovest. Tutte le costruzioni di questo splendido villaggio immerso e per la maggior parte  inghiottito dalla selva, hanno una connessione con i cicli solari e con le fasi di rivoluzione di Venere. La numerologia la fa da padrona. Il numero tre rappresenta i tre mondi: quello degli umani, l’inframondo e il mondo dei morti. Il cinque si riferisce alle direzioni cardinali più il centro attorno a cui tutto ruota. Il numero sette e’associato agli dei dell’inframondo. Ora gli unici abitanti di questa città sono gli animali e le piante.

Palenque

 

Alberi che inesorabilmente hanno ricoperto le piramidi, manifestazioni di grandezza di piccoli uomini Maya che desideravano dimostrare la loro potenza ma che, per un divertente scherzo del destino, sono diventati le fondamenta di un mondo riconquistato dalla Natura. A ricordarci, come monito perenne per le generazioni presenti che si divertono a scattarsi fotografie ricordo arrampicandosi goffamente sugli alti scaloni dei pochi mausolei sottratti al ritorno della Natura, che l’uomo è uno dei tanti temporanei e perituri ospiti di questo magnifico Pianeta azzurro lanciato a migliaia di chilometri all’ora nel freddo e vuoto spazio.

 

E’ già notte. Seduto al tavolo di un ristorante immerso nella selva, ascolto distrattamente la musica che esce da gracchianti altoparlanti posti sul palco di fronte a me. Tutt’attorno, inesorabile, instancabile, inarrestabile, il canto dei grilli accompagna con la giusta vibrazione il suono del mio pensiero. Chiudo gli occhi e immagino la stessa notte di qualche secolo fa. Alla vigilia del solstizio d’estate, stava per nascere un bambino che negli anni a venire, da re, avrebbe deciso di costruire uno di quegli edifici che ora fanno da supporto a piante su cui cinguettano uccelli dai colori sgargianti e urlano branchi di scimmie. Che beffa per la grandezza di quel piccolo uomo.

Quanto è ironica nostra madre terra.

Grazie Pachamama per questi insegnamenti che riesci a trasmetterci attraverso messaggi sottili percepibili sedendosi all’ombra di una foresta di secolari ceibe.

Cavalcando verso San Juan Chamula

Il cavallo bianco che monto si chiama Palomo. Sembra che sia il più irrequieto ed indipendente dei cavalli del gruppo. Non a caso ha lo stesso carattere di chi lo monta.

 

I cowboys locali sono di poche parole. Quasi nemmeno ci spiegano cosa dobbiamo fare. Accanto a me una ragazza di Chihuahua, vestita di tutto punto come una cavallerizza che si rispetti, è la classica dimostrazione di come l’abito non faccia il monaco.

 

Si lamenta del fatto che il cavallo trotti, si muova verso l’erba ai lati della strada per mangiarla e non si preoccupa di chiedersi il motivo per cui le abbiano dato delle redini in mano. Inveisce chiedendo al cavallo di andare a sinistra e a destra, più piano o più veloce, non ricordandosi che l’uomo che sussurrava ai cavalli aveva sicuramente un’intesa maggiore con il mondo animale di una persona come lei, unicamente preoccupata di non spettinarsi o dei suoi occhiali da sole. Che più tardi le cadranno nel fango.

 

Tant’è. Il buon Palomo è più docile di quanto gli stallieri abbiano voluto farmi credere.

 

Cavalcare è stupendo. Cercare di stabilire un’intesa fatti di movimenti delle redini, di gentili calci con il tacco sul fianco sinistro del cavallo, di sussurri, sibili o fischiettii con una bestia tanto graziosa e docile quanto elegante e potente mi fa pensare al fatto che molti di noi, me compreso, siano in realtà disconnessi dalla Natura.

Oggigiorno siamo abituati ad interagire con macchine, computer, smartphones e molto meno con la gente, con gli animali, con le piante.

Ora che mi trovo immerso in una pineta di conifere, in sella ad un cavallo avviato a passo lento per un sentiero fangoso che si inerpica dolcemente, circondato da piante, da rovi, dal verde, mi sento riempito dall’energia di tutto ciò che mi circonda, mi sento connesso con la Natura, con la madre Terra, con la Pachamama che ci dà la vita e ci permette di continuare a vivere.

 

Uscendo dal sentiero entriamo a San Juan Chamula per una strada secondaria. I bambini che giocano ai lati della strada ci salutano sorridenti. Donne e ragazzine vestite di colori sgargianti portano al pascolo pecore che indossano museruole, immagino al fine di non far loro mangiare l’erba ai lati delle strade. Alcuni uomini lavorano i campi. Li saluto e rispondono sorridenti.

Come in Congo sei anni fa, vedo nei loro occhi una luce più luminosa di quella che sia riuscito a cogliere negli occhi di molte persone che ho conosciuto nel mondo cosiddetto sviluppato.

Queste persone che con grande dignità vivono vite difficili, questi bambini che sono costretti dalla vita a comportarsi come adulti, fanno da contro altare alla voce stridula della cavallerizza improvvisata che metaforicamente rappresenta tutte quelle persone che si sono dimenticate, o non hanno mai conosciuto, il contatto con la Natura.

Non voglio con queste parole erigermi a facile predicatore del ritorno alle origini. Sono il primo ad ammettere che sto apprendendo, o forse solo riscoprendo, la bellezza di sentirsi uniti ed in equilibrio con la Terra.

 

San Juan Chamula ci accoglie rumorosa e trasbordante di gente. Il mercato domenicale raccoglie tutti gli abitanti del luogo. Bambini che lucidano le scarpe, bambine che cercano di vendere piccoli animaletti intarsiati nel legno, donne che barattano verdure con polli svolazzanti, uomini che parlano con una cerveza in mano. Non ci sono turisti o forse ce ne sono così pochi che si confondono nello stupendo marasma di questo mercato.

Image

Entro nella chiesa evitando con un sorriso un’ondata di bambini che cercano di vendermi qualunque cosa.

Il pavimento è ricoperto di paglia. Ai lati della navata, statue di santi cristiani dallo sguardo piuttosto triste, osservano, ingabbiati in teche di vetro, i rituali svolti dai fedeli che, accovacciati a terra, pregano cantilene strazianti di fronte a file di candele accese.

Alcuni curanderos stanno praticando una limpia, una pulizia energetica con un mazzo di basilico con cui fendono l’aria attorno al corpo di una donna inginocchiata su un letto di paglia.

La sua faccia è segnata dalla sofferenza.

Poco lontano, un ragazzo si prostra continuamente di fronte alla statua di San Giovanni Battista urlando, con voce rotta dal pianto, cantilene alquanto incomprensibili.

Il dolore di queste persone si può percepire, si sente permeare l’aria. Stanno scaricando tutta la sofferenza, l’enorme frustrazione o il dolore che pervade le loro povere anime.

 

Esco rapidamente all’aria aperta. Mi guardo intorno, spaesato.

Questa breve visita è stata sufficiente per ricordarmi che la vita è composta da entrambe le facce della medaglia.

Senza il dolore non si potrebbe apprezzare la felicità.

Scaricare il dolore che inevitabilmente fa parte della vita di ognuno di noi, è necessario.

Anzi è, a mio modesto parere, doveroso. Affinchè esso non marchi indelebilmente a fuoco la nostra anima condannandola alla sofferenza continua. Lo si può e a mio avviso lo si deve fare attraverso un pianto liberatorio.

Ma anche attraverso una meditazione od una cerimonia di qualunque genere.

 

Perchè solo liberandosi da questo dolore che inevitabilmente appesantisce le nostre anime è possibile connettersi con il vero Sè, con chi siamo veramente.

Prima di preoccuparsi del fare dovremmo tutti preoccuparci dell’essere.

 

Nel giorno della festa del papà, mi piace pensare che questo messaggio mi sia stato consegnato da lui.

Mi piace immaginare che, per un giorno, Bruno sia stato l’autore di un altro, splendido episodio del film della mia vita.